E’ un bel pò di tempo che non sbaglio un libro, con questo ero certo di proseguire in questa personalissima serie positiva e così, naturalmente, è stato.
A me piace come scrive quest’uomo non ci sono scuse. Dovrei dire ragazzo, ha dieci anni meno di me, ma in fatto di esperienze, è assolutamente irraggiungibile.
Mi piace la sua scrittura senza troppi fronzoli, semplice a suo modo, ma di gran contenuto, contenuto che la mia lettura “ingenua” non mette mai in discussione.
Ricordo che ai tempi in cui lessi “Educazione Siberiana” sentivo tutti, critici e non, divisi sul fatto che i contenuti fossero più o meno reali, che lo scrittore avesse più o meno romanzato la sua storia. Una sera vid Nicolai Lilin che, invitato come ospite al programma di Chiambretti, fu sottoposto ad un pubblico processo da un discutibile quanto inutile personaggio con il quale probabilmente il Chiambretti condivide il neurone a giorni alterni.
Che importanza ha tutto questo quando un libro è capace di trasmettere emozioni a ritmo continuo molto molto più del più avvincente o drammatico dei film?
All’inizio di quest’ultimo infatti, non so se per quanto successo in precedenza, c’è una nota dell’autore che spiega che “i fatti raccontati sono volutamente in forma romanzesca” perchè appartenenti alla sua esperienza o a quella di persone a lui vicine, ma non importa per me Nicolai detto Kolima è sempre lui, dalla prima parola di “Educazione Siberiana” all’ultima drammatica frase della conclusione de “Il respiro del buio” che, buttata lì come postfazione e quasi superflua nel contesto del romanzo, ha fatto chiara luce su ciò che voglio in certi ambiti della vita.
Il respiro del buio” chiude la trilogia siberiana e racconta il viaggio rude e doloroso di un ex-combattente che porta i suoi problemi di reduce (PTSD) dal caos della Russia post-comunista alla solitudine della Taiga euro-asiatica (e ritorno). Un reduce che rinasce dalla guerra in un mondo che evidentemente non riconosce e dal quale non è riconosciuto come uomo.
E’ stridente il contrasto tra la società alienante di una metropoli Russa del ventunesimo secolo e la dimensione umana quasi animalesca del bosco, due luoghi non-luoghi in entrambi i quali si lotta per la sopravvivenza come nella notte dei tempi. E nel racconto di queste cose Nicolai Lilin, per me, è un maestro indiscutibile.
Un libro del quale vorrei leggere il seguito domani, se un seguito mai ci sarà, ma che mi lascia lì con l’affascinante considerazione sul destino, che ad alcuni riserva una vita pseudo tranquilla e ad altri un percorso che prima di significare ‘tranquillità’ mette di fronte mille battaglie e viaggi in primitiva solitudine. E la sensazione che se su certe cose non abbiamo potere, su molte altre sì, con molta volontà, coraggio e un pò di fortuna.

Da leggere ascoltando: No Roots dei Faithless… un disco, una musica quella dei Faithless che alterna pezzi atmosferici che evocano un tramonto visto dalle finestre di una isba, con un camino acceso a fianco, ad autentiche bombe adrenaliniche che personalmente ascolterei in cuffia nel caos di una metropoli.

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