E poi capita sempre così, come tutte le cose più belle, all’improvviso, inaspettatamente.
Un giovedì sera come tanti al pub con gli amici, quando pure di uscire non ne avevo tutta questa voglia, avevo risposto “Ok” al consueto messaggio di Andre più per abitudine che per altro.
Entro e riconosco subito, sui monitor agli angoli del locale, quel biondino, capello corto ingellato, un’immacolata e appena accennata ala d’angelo sulla schiena. Uno che conosco come se fosse mio fratello, uno dei miei due fratelli immaginari, che non ho mai incontrato ma che per certi versi conosco meglio dei miei amici più intimi, con i quali, stampati in formato gigante e appesi al muro di camera mia, mi sono sempre confidato, ai quali ho confessato tutti i miei segreti e tutte le mie paure.
Le note sono note più che mai, mi hanno accompagnato per anni, tutta la mia adolescenza, mi hanno cresciuto, su quella colonna sonora ho vissuto tutti i miei più grandi dolori e tutte le mie più grandi gioie.
Ecco il suo volto che mentre suona ha quell’espressione un pò stranita, nemmeno si fosse scolato il bar del parterre, che mentre canta sembra in trance ma che quando lascia trasparire un sorriso, quel sorriso è come una rara gemma preziosa, illumina quel volto sempre un pò da bambino matto.

Martin Lee GoreFinito il pezzo ecco comparire l’altro fratello, quello più ingombrante, quello a cui avrei voluto assomigliare da sempre, che quando inizia a cantare sovrasta il rumore del locale con la sua voce calda, sensuale, ipnotica.
Per tutta la sera è come essere a casa, sul divano a discutere con gli amici, una Guinness in mano, loro non tanto in sottofondo.
Ed è stato così che oggi mi sono trovato a farmi tenere in compagnia 8 ore da Martin e Dave in cuffia, in ufficio e poi ho tirato fuori un CD, quel CD, quello che avevo voglia di sentire per il resto della giornata, quello del mio remixer preferito, quello che riesce a ridurre le basi a suoni minimali, a volte gracchianti, con dei campionamenti e delle sovraincisioni che nemmeno i remixer ‘ufficiali’ potevano scegliere meglio. Quello fatto di quei suoni elettronici, ruvidi, acidi a tratti, che sembrano penetrare fino in fondo ai tuoi pensieri e una volta a tu per tu con la tua anima, riescono a portarti via.
Io so che la nostra vita è fatta di periodi musicali, legati ad un genere o ad un artista, e mi sono pure accorto che alcuni di questi sono inevitabilmente ricorrenti: incominciano, finiscono e poi ricominciano ancora, ma non solo per l’ansia scatenata dall’imminente uscita di un nuovo disco, così, in maniera apparentemente inspiegabile. E visto che sono convinto che nulla succede per caso oggi ho definitivamente realizzato che chiamare queste note “musica” per me è tragicamente restrittivo, perché sono venute in mio soccorso in questo momento e, lo so, mi salveranno, ci salveranno.

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