Come al solito non mi ricordo come ho fatto a scoprire dell’esistenza di questo libro, ma quando l’ho visto non ho esitato ad acquistarlo data la mia grande passione e sete di conoscenza sull’hip hop italiano, poi ho subito capito che sarebbe stato il modo migliore per introdurmi la musica dei Club Dogo che fino a prima della fine del libro non avevo mai ascoltato ma ne avevo tutta l’intenzione.
La cosa tragica, ripresa anche in più punti del libro, è che pur essendo trascorsi 3-4 mesi dall’acquisto alla lettura sono riuscito con estrema facilità nell’impresa di non ascoltare involontariamente nulla di Club Dogo.
Questo non è effettivamente possibile in un paese normale, vorrei non aver mai sentito niente di Povia, dei Modà o di Antonacci, magari dei Tokio Hotel o dei Take That se vogliamo buttarla sul discorso nazionalista, e invece mio malgrado e soprattutto assolutamente contro la mia volontà conosco quelli ma se non cerchi personalmente i dischi del “Club” non riesci ad ascoltarli, nè in radio nè in Tv.

Jake La Furia e Guè Pequeno sono forti e il metodo di scrittura del libro, fatto come se fosse un intervista-dialogo tra i due è per certi versi efficace, ne emerge il racconto della loro adolescenza che ho trovato avere persino alcuni punti in comune con la mia, nonostante i 10 anni di differenza e il fatto che io sia un provinciale al loro confronto, chiaro c’è l’estrazione di quartiere e la metropoli che ti obbliga a maturare molto prima del previsto.
Il libro scorre velocissimo, pochi capitoli intrisi di feste, musica, amici, Milano e un sacco di considerazioni sul solito nulla di cui continuo a leggere riguardo questa città che nessuna -dico nessuna- delle voci dalle quali ne ho sentito parlare lodano eppure tutti, anche i non obbligati, vivono.
Forse l’unica puntualizzazione che potrei fare a questo libro è proprio che il modo in cui è scritto non permette secondo me di sottolineare con il dovuto risalto alcuni concetti sui quali, visto il tipo di pubblico che segue i Club Dogo, io mi sarei soffermato di più: scoraggiare l’uso di droghe pesanti e invogliare ad un maggior rispetto della scuola, che per me non significano altro che aver rispetto per se stessi.
Non è un librone ma aiuta a mettere qualche altro pezzettino al puzzle della società in cui stiamo vivendo e di tanti suoi orrori, mi ha lasciato senza parole, ad esempio, il fatto che non si siano stupiti alla notizia della morte di Stefano Cucchi, evidentemente la realtà che vivo è troppo lontana da certe cose che sono invece fin troppo reali.

Dal punto di vista strettamente musicale il libro è interessante, fa capire un pò la genesi dei loro dischi, come sono nate tante collaborazioni da dove vengono certe idee e i temi trattati che non sono altro poi che quelli presenti tra le pagine. Si capisce che Cosimo Fini (Gué) e Francesco Vigorelli (Jake) sono ragazzi con qualità superiori alla media, come d’altra parte lo è sicuramente anche Marracash, la cosa emerge dalla lucidità con la quale espongono le loro idee politiche e la franchezza con cui descrivono i rapporti con mostri sacri quali i “centri sociali” e i pregiudizi con cui vengono giudicati gli appartenenti al mondo hip hop, che mi hanno aiutato a chiarire alcuni dubbi che mi attanagliavano da tempo.
Inoltre credo che se non fossero stati particolarmente dotati non sarebbero usciti vivi dal contento in cui sono nati, ascoltare assolutamente Bastavano le briciole del Marra.

Da leggere ascoltando: in questo caso mi sembra logico, se devo proprio dirla tutta io incomincerei (e incomincerò) dall’inizio: Mi Fist, Penna Capitale e così via…

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